giovedì 14 maggio 2015

Smettere di fare ciò che siamo abituati a fare

(Tratto da "D")

E' dall'alba dei tempi che l'umanità si interroga sul mistero delle abitudini.

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Per Aristotele "l'abitudine all'altro non è che un lungo esercizio", il quale finisce per diventare parte della natura umana.
Secondo Ovidio "niente è più forte dell'abitudine". E per usare le parole di Benjamin Franklin: "E' più facile prevenire le cattive abitudini che sradicarle".

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Gli scienziati del MIT hanno sostanzialmente mappato il genoma delle nostre consuetudini, scoprendo che il loro nocciolo è formato da un loop neurologico in tre parti.
Tutto comincia con un segnale che comunica al cervello di entrare in modalità automatica.
Segue la routine, ovvero ciò che consideriamo come l'abitudine in sé, che può essere psicologica, emotiva o fisica.
Da ultima viene la ricompensa, cioè il segnale che dice al cervello di consolidare l'intero processo.

E' questo il cosiddetto "ciclo dell'abitudine", ed è facile intuire perché con il passare del tempo diventi sempre più difficile da spezzare.

Va da sé che il nostro obiettivo principale non dovrebbe essere la semplice interruzione delle cattive abitudini, ma la loro sostituzione con abitudini diverse e più sane, che aiutino a vivere meglio.

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La capacità di riconoscere le abitudini che hanno smesso di operare a nostro vantaggio e sacrificarle è un caposaldo della saggezza.

Anche se pensiamo di essere noi i comandanti del nostro vascello, capaci di dominare i nostri pensieri e i nostri comportamenti, spesso a controllarli è il nostro pilota automatico.

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Se non siamo capaci di riprogrammare il nostro pilota automatico, tutti i nostri propositi di cambiamento risulteranno inutili.

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Riprogrammare il pilota automatico richiede a ciascuno un tempo diverso. Per facilitare il compito, ci si può concentrare sulle abitudini-chiave: intervenendo su una di quelle, modificare le altre diventa più semplice.

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Ma la sola forza di volontà non basta: come diversi studi psicologici dimostrano, la volontà è una risorsa che con l'utilizzo tende a esaurirsi.
Il dottor Judson Brewer di Yale riassume i segnali più comuni dell'esaurimento di risorse nell'acronimo "HALT" composto dalle iniziali di hunger (fame), anger (rabbia), loneliness (solitudine) e tiredness (stanchezza).

Caso vuole che questi sintomi fotografino in modo preciso anche lo stato d'animo vissuto da tanti di noi nella cultura del suiperlavoro contemporanea. 
"HALT" si legge "fermatevi". Il solo modo per resettare il pilota automatico e adottare abitudini migliori.


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