lunedì 11 settembre 2017

L'importanza del fallimento

Torniamo sull'argomento di questa riflessione di qualche tempo fa (accesso al forum di QualitiAmo previa registrazione gratuita) con questo nuovo articolo de: "La Stampa".

Tel Aviv e il fallimento “Qui anche i flop fanno curriculum”

E  se  il  segreto  del  successo fosse  fallire?  Se  un  business catastrofico diventasse un caso da studiare? Dietro app e progetti  geniali  si  nascondono inciampi, più o meno grandi, che possono insegnare molto a  chi  scommette  su  nuove start-up. La lezione arriva da Tel Aviv, paradiso hi-tech sul Mediterraneo.

Tra Rothschid boulevard e gli altri viali a pochi passi dal mare batte il cuore dell’innovazione. Fuori dalle sedi delle multinazionali e dei 90 acceleratori  di  start-up.  Nei dehors dei bar, incastonati tra
case  in  stile Bauhaus  e  moderni grattacieli, alcuni  giovani scrutano  lo schermo  di  un Mac.  Stanno  discutendo un nuovo  progetto  da lanciare. «In nessun’altra  città  al mondo c’è un fermento  simile», spiega  Margaux Stelman, del municipio  di  Tel Aviv. Qui c’è il record  di  start-up per abitante: una ogni  290,  2.800 in  tutta  la  città, più che nella Silicon Valley. E i fallimenti non si nascondono,  li  si «celebra»  in eventi particolari.
Si tratta delle «Fuckup Nights» (eufemismo per andare in malora), un format nato a Città  del  Messico  nel  2012.
Cinque amici, davanti a una bottiglia di mezcal, borbottavano sfogandosi dei loro flop: «Se organizzassimo un evento dove raccontiamo i nostri fiaschi? Sarebbe più originale delle noiosissime conferenze in cui i guru insegnano la ricetta del successo». Quella sera è nata l’idea esportata in
oltre 200 città di tutto il mondo. Ma è qui a Tel Aviv che è diventata  un  appuntamento cult: ogni mese un paio di serate fanno il sold out. In sette minuti  imprenditori  e  startuppari  di  successo  raccontano le esperienze finite male, rispondendo alle domande del pubblico.

«A volte è più utile di una seduta dallo psicologo», assicura  Adam  Rakib,  28  anni, speaker  di  una  serata.  È  un giovane imprenditore che nel 2012, con altri soci, ha realizzato  una  piattaforma  per  videogame  in  realtà  virtuale.
Dopo un anno è stata venduta a  una  multinazionale  per  12 milioni di dollari. «Ma non è stata  tutta  in  discesa,  anzi.
Prima  di  avere  successo  ho sbattuto  la  testa  più  volte», racconta.  L’apologia  del  fallimento  nelle  «Fuckup  Nights» recita più o meno così: sbagliare non impedisce di avere successo.  Anzi:  fallire  è  necessario.
«Non farlo è impossibile: è una questione statistica. Più ti sbatti, più lo scivolone è dietro l’angolo», spiega Roy Povarchik, 31 anni,  fondatore  di  un’acceleratore per start-up. «Dei big come Steve  Jobs  si  ricordano  solo  i trionfi. Ma non hanno azzeccato ogni colpo in tutta la carriera: anche loro hanno commesso errori  grossolani.  A  volte  anche per anni».

Può  essere  una  leggerezza nel  business  plan,  la  scelta sbagliata di un socio o innamorarsi di un’idea senza scorgerne i limiti. O non cautelarsi da persone senza scrupoli, come è  accaduto  alla  28enne  Sharonna  Karni  Cohen.  Nel  2014 ha  creato  «Dreame»,  un  portale  in  cui  si  commissionano disegni, scegliendo tra 500 artisti in tutto il mondo, da ricreare  su  qualsiasi  supporto  (tshirt,  cuscini,  tazze).  Un’amica russa a cui aveva raccontato  il  progetto  le  ha  rubato
l’idea.  «Ero  furiosa,  ma  non potevo  che  prendermela  con me  stessa.  Ho  raccontato  la mia  esperienza  durante  una “Fuckup Night” e le ho mandato una mail in diretta con solo tre  parole:  “Grazie  dell’insegnamento”. È stato catartico».
Oggi la sua creatura è valutata tre milioni di dollari e ne fattura 25 mila al mese. «Da quella sera ho imparato molto», spiega.  «In  Israele  le  esperienze senza lieto fine a volte vengono  inserite  nel  curriculum: non c’è nulla di cui vergognarsi».  È  il  diritto  di  fallire.  Il trampolino verso il successo.

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