martedì 19 settembre 2017

Welfare in un contratto su tre

(Fonte: "Il Sole 24 Ore")

Nelle grandi aziende italiane si diffondono le piazze virtuali del welfare: i dipendenti entrano in
una piattaforma telematica e, nell’ambito di un determinato plafond, sono liberi di scegliere il servizio che più interessa: un asilo nido, una polizza sanitaria, una palestra, un viaggio di formazione all’estero, un piano di previdenza complementare o l’abbonamento ai mezzi pubblici.



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Diamo un'occhiata all'indice rilevato per misurare lo “stato di salute” del welfare nelle Pmi: la ricerca 2017, su un campione di 3.422 imprese di taglia small, mostra che il 40% è attivo in almeno quattro aree di welfare aziendale, il 58% in tre, e le imprese che attuano iniziative in almeno sei aree
sono quasi raddoppiate: 18,3% del totale rispetto al 9,8% del 2016.
Insomma qualcosa si muove, anche grazie al fatto che nel quadro di regole che disciplinano la cosiddetta detassazione dei premi di risultato, con la Manovra 2016 è emersa la possibilità di convertire il premio (monetario) in benefit compresi nell’ambito di un piano di welfare aziendale.
Una possibilità che deve essere prevista da un contratto di secondo livello (aziendale o territoriale)
siglato dai rappresentanti di aziende e lavoratori.


Dall’ultimo monitoraggio del ministero del Lavoro sui premi di produttività emerge che tra i 12.711
contratti “attivi”, 3.909 - quindi quasi uno su tre - offrono ai dipendenti la possibilità di scegliere il
welfare aziendale “esentasse” in alternativa al bonus monetario in busta paga (tassato al 10 per cento).
I numeri, certo, sono ancora di nicchia, ma il trend registrato dai bollettini mensili del Lavoro è incoraggiante: al 16 agosto risultavano inviate - attraverso la procedura telematica - 25.349 dichiarazioni di conformità, per il deposito dei contratti firmati fin dal 1° gennaio 2015.
All’interno di questa platea, le intese tuttora attive sono 12.711, come citato in precedenza, cresciute di 1.172 nel giro di un mese.


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La manovra 2017 ha aumentato la potenza di fuoco della detassazione sui premi di risultato: il limite
per i bonus è salito dai vecchi 2mila euro fino a 3mila e si è allargata anche la platea dei beneficiari, con lo spostamento verso l’alto del tetto di reddito dei lavoratori per avere la tassazione agevolata, da 50mila a 80mila euro lordi annui.
La spinta al welfare è poi arrivata dall’azzeramento dei limiti di deducibilità in caso di conversione
del premio in servizi per sanità e previdenza integrativa (esenzioni anche oltre le soglie di 3.600 euro
per le spese sanitarie e di circa 5.200 euro per i versamenti alla pensione integrativa).
Infine la manovra di primavera agganciata al Def - il decreto legge 50, convertito dalla legge 96 del
2017 - ha aggiunto un nuovo tassello: nell’ipotesi di «coinvolgimento paritetico dei dipendenti nell’organizzazione del lavoro» il beneficio è doppio. Alla possibilità per il lavoratore di applicare la “cedolare secca” al 10% sull’intero premio (che viene riconosciuta in tutti i casi di detassazione), si affianca per il datore di lavoro lo sconto di venti punti percentuali dell’aliquota contributiva per invalidità, vecchiaia e superstiti su massimo 800 euro, ma solo per gli accordi siglati dopo il 24 aprile 2017.


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