venerdì 3 febbraio 2017

Il lavoro piace agile

(Fonte: "Italia Oggi")

Il mondo del lavoro sta cambiando. Non è un luogo comune, ma uno stato di fatto. Che accomuna 250 mila lavoratori cosiddetti «agili», ovvero circa il 7% di tutti gli impiegati, quadri e dirigenti secondo i dati delll’Osservatorio smart working della School of management del Politecnico di Milano. 

Lavoratori che stanno abbandonando l’ufficio in favore di luoghi più informali e decentrati, dai bar ai parchi, dalle sale condivise al salotto di casa propria. Chiamati a rispettare obiettivi e scadenze,
restando comunque in contatto con i propri colleghi e i propri capi attraverso i più disparati dispositivi tecnologici messi a loro disposizione. 


Nel principio della flessibilità che incalza. In un’ottica cosiddetta smart. 
Parliamo di smart working, appunto. In soli tre anni il numero di coloro che praticano lo smart working è cresciuto del 40%. Un fenomeno che va legiferato e presto, dicono gli esperti.
 

(...)
 

Ad oggi la contrattazione sul tema offre un ventaglio già abbastanza ampio, soprattutto sul piano aziendale. Tuttavia dall’analisi pubblicata nel 2016 dei 915 i contratti contenuti in Banca dati Adapt e 20 Ccnl, ciò che resta limitata, secondo i ricercatori di Adapt, è la dimensione quantitativa degli accordi.
Sono solo otto i casi di intese aziendali. Un dato che potrebbe essere interpretato, da un lato, come una spia del limitato interesse delle parti a presidiare la materia.
Ma potrebbe essere sintomatico di una mancanza di certezza del quadro normativo di riferimento che scoraggia i negoziatori d’azienda ad avventurarsi nella regolazione di un modello organizzativo dirompente rispetto ai canoni tradizionali di svolgimento, misurazione e valorizzazione economica della prestazione lavorativa. 


Gli accordi specificano il campo di applicazione della sperimentazione o del programma di lavoro
agile, delineandone le caratteristiche e individuando i lavoratori che ne possono beneficiare. L’individuazione dei soggetti coinvolti è operata attraverso diversi parametri che vanno dalle esigenze connesse al tipo di prestazione svolta dal lavoratore alle strumentazioni necessarie per
l’adempimento. 

Prendiamo ad esempio l’Accordo Snam. L’adesione alla modalità smart working è correlata alla disponibilità di una linea di connessione dati veloce presso il luogo in cui si intende svolgere l’attività. Alle condizioni tecniche si affiancano condizioni di tipo organizzativo rispetto al ruolo svolto in azienda.
Nella stessa logica possono leggersi quegli accordi che prevedono limitazioni a particolari categorie di lavoratori: alcuni riservano il lavoro agile soltanto ai quadri direttivi (Banca Etica); altri, viceversa, accettando impiegati, quadri, dirigenti, aprono l’accesso sostanzialmente a tutta la
compagine lavorativa (vedi il caso Bnp).
 

Incidono scelte di politica gestionale o di sostenibilità del lavoro, in sostanza.
Pensiamo alla possibilità di inserire dei parametri che permettano di privilegiare nell’accesso soggetti che presentano determinate condizioni di salute o gestione dei tempi.
Barilla, ad esempio, che si è posto l’obiettivo entro il 2020 di offrire lo smart working al 100% degli impiegati d’ufficio, prevede modalità di svolgimento più favorevoli (tempi maggiori) per soggetti interessati da invalidità, impegni di cura propri o di terzi, o con figli in tenera età. Al di là dell’orario di lavoro, le forme retributive sono da stabilire in funzione dei risultati, a prescindere dalla minore o maggiore presenza fisica in un determinato luogo. 


Produrre, in sintesi, è ciò che si chiede allo «smart worker».

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