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Continuiamo il discorso iniziato ieri sulla gestione dei progetti.
Le organizzazioni che distribuiscono le loro risorse su troppi progetti nel tentativo di gestirne il più possibile potrebbero definirsi come effort-oriented e si differenziano da quelle results-oriented.
Dato che le risorse dedicate ad ogni progetto sono poche, per completarlo occorre più tempo che se le stesse fossero ripartite su un minor numero di progetti. Questo significa che il capitale messo a disposizione si “ferma” sui singoli progetti per un periodo più lungo del previsto, rendendo il progetto più costoso e spostando in là nel tempo il ROI (return on investment o ritorno sull’investimento).
I problemi di questo tipo di approccio, però, non finiscono certo qui. Allocare poche risorse, sottostimando le necessità, significa non aver pianificato per bene il progetto e cercare poi di colmare questa lacuna esercitando sulle persone una forte pressione per accelerare i tempi.
Prima di concludere il progetto, però, è abbastanza facile che in realtà così poco organizzate si spostino nuovamente le persone a lavorare sul “progetto del mese”, con il risultato che partono nuovi progetti senza che siano stati portati a termine quelli vecchi, con ovvie conseguenze di progetti “invecchiati”, dilazionati e in cui non crede più nessuno.
Questo modo miope di lavorare porta a non riuscire a vedere l’intera foresta dall’alto dell’albero sul quale siamo arrampicati e, quindi, ad avere una visione limitata solo al presente e non ad un prossimo futuro.
Secondo Peter Pande, uno dei maggiori esperti di metodologia Six Sigma, un carico eccessivo di attività da compiere porta a tre impatti decisamente negativi:
- una dispersione di risorse: il tempo e l’attenzione dei collaboratori devono dividersi su più fronti e i progressi rallentano
- priorità non sono chiare
- chi deve guidare i progetti ha troppe cose da seguire e lo fa male
venerdì 7 novembre 2008
Imparare a gestire i progetti per lavorare bene (2)
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