mercoledì 28 marzo 2018

Nell'azienda dove la disconnessione è un diritto

(Fonte: "la Repubblica")

La stanza è luminosa e confina, attraverso la vetrata, con un cortile puntellato di opere d’arte.
Poltrone, divani e cuscini ispirano relax, così come le pareti bianche.
Non si direbbe, ma siamo in una fabbrica o, meglio, in un’azienda hi-tech e in questa stanza, la
“Digital Detox”, dipendenti e manager hanno la possibilità di disconnettersi da tutto. Niente
telefonino, niente computer, niente social, niente e-mail. Solo il silenzio dei pensieri. Una chance
(e un diritto) sorprendenti se si considera che qui alla Vetrya, un centinaio di addetti, età media 32
anni e tasso di laureati al 90%, si sviluppano servizi per le reti tlc, piattaforme per la distribuzione di
contenuti multimediali, internet degli oggetti. Insomma, l’avanguardia dell’avanguardia
tecnologica. E vorrà pur dire qualcosa se l’idea della digital detox è approdata anche in questo
regno della connessione, sotto le rupi di tufo di Orvieto, a Ferrocavallo subito rinominata
“Ferrocavalley” pensando a Palo Alto e dintorni. «Abbiamo bisogno di cervelli che producano
piattaforme digitali – spiega Luca Tomassini, presidente e ad di Vetrya che ha inventato e portato
in Borsa, dopo aver guidato per un decennio il progetto internet di Telecom Italia – quindi vogliamo
creare l’ecosistema ideale. Serve che la mente dei nostri ragazzi sia libera». Una scelta di strategia
industriale, dunque, ma Tomassini conosce troppo bene l’universo digitale per non cogliere il paradosso della digital detox in un’azienda come questa: «La rivoluzione digitale è inarrestabile e sta cambiando modelli di vita, lavorativi e industriali. Porta vantaggi evidenti, ma non credo che
salverà il mondo. Anzi, devo dire che i due miliardi di utenti Facebook cominciano un po’ a
spaventare…».
Se volessimo considerare Vetrya il campione rappresentativo di cosa sta diventando il lavoro, ci sarebbe molto da riflettere. Nel bene e nel male. Palestre, biblioteche, opere d’arte in un campus circondato dal verde. Ma anche l’assenza totale del sindacato. «Internet ha disintermediato tutto», sottolinea Tomassini, introducendo un tema che nell’era dell’industria 4.0 si è fatto molto scivoloso, come hanno dimostrato l’allarme per i braccialetti di Amazon o le polemiche per la parziale
liberalizzazione del controllo a distanza del lavoro prevista dal Jobs Act. E ancora più di recente, il
nuovo contratto della scuola che ha previsto fasce orarie protette per poter contattare via mail o via
telefono gli insegnanti. In pratica il debutto, a livello contrattuale, del diritto alla disconnessione.
«L’innovazione è cosa buona e giusta – spiega Massimo Bonini, segretario della Cgil di Milano –
ma va assolutamente governata proteggendo i lavoratori. Molte aziende si stanno rendendo conto
che la disconnessione aiuta a produrre meglio e anche questo deve far riflettere. Come sindacato
ci stiamo attrezzando, soprattutto nel terziario avanzato dove le alte professionalità rendono più
complicato il nostro ruolo di rappresentanza: mi sono occupato a suo tempo dei tagli alla
Microsoft e vorrei ricordare che quando le cose vanno male solo un sindacato può aiutare i
lavoratori». In Francia il diritto alla disconnessione si è affrontato sul versante legislativo, mentre in
altri Paesi europei (Italia compresa) la tendenza è di risolvere la questione attraverso gli strumenti della contrattazione.
Senza contare il gigantesco peso di Big Data, il mercato dei dati personali che sono ormai la
principale materia prima del commercio mondiale e che ci ingaggiano nella nostra doppia essenza di lavoratori e consumatori. Ma è un inseguimento infinito, perché la velocità dell’innovazione è
incommensurabile con quella delle tutele e dei diritti. Se ne sono accorti anche nella Silicon Valley,
dove più di un guru ha iniziato a recitare il mea culpa per gli effetti incontrollabili delle piattaforme
digitali: «La crescente distrazione tecnologica è un baco della nostra programmazione collettiva - ha
spiegato Justin Rosenstein, l’inventore del tasto Like di Facebook - che dobbiamo immediatamente correggere, liberandoci da questo infinito loop di dopamina». E se lo dice lui.


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