giovedì 8 giugno 2017

La maledizione del talento (2)

Nelle aziende dove i vertici vogliono una cultura forte e un cambiamento rapido, i manager di talento sentono che ci si aspetta da loro che siano rivoluzionari e al tempo stesso che si guadagnino l'approvazione dell'establishment. La tensione implicita fra questi obiettivi risulta logorante per le persone. la loro sensibilità ai segnali culturali e politici (che è parte della ragione per cui sono stati indicati come futuri leader) li rende particolarmente vulnearbili una volta che sono stati inseriti su quel percorso. 
Ogni opportunità diventa un obbligo, ogni sfida un test. Il dipendente ad alto potenziale si sforza di essere un manager perfetto, sopprimendo quegli stessi talenti - le passioni, le peculiarità - che in un primo momento erano serviti a farlo emergere dal gruppo, e la maledizione finisce per travisare la getstione dei talenti ritorcendola contro il suo stesso obiettivo. Invece di dare più potere e autonomia a quelli che meritano di comandare, li rende più insicuri e li spinge a conformarsi, come una specie di racket della protezione: le pretese costose di un'azienda in cambio della sicurezza dai pericoli che comporta lavorare lì. 

Il "futuro leader" doventa sinonimo di "eccellente seguace".

Tre segnali

Dovete imporvi standard elevati e prepararvi a essere sotto esame ancora più degli altri: nessun aspirante leader può ignorare le aspettative altrui. Ma se rimanete costantemente sotto il riflettore delle opportunità e la lente di ingrandimento delle aspettative, per un po' potrete risplendere, ma prima o poi andrete inevitabilmente a fuoco se non installate qualche protezione. Per farlo, dovete imparare a individuare e affrontare tre segnali di problemi.

1 - Prima vi limitavate a usare il vostro talento, ora dovete dimostrarlo.

Una volta inseriti nel bacino di dipendenti ad alto potenziale, potreste scoprire che il vostro entusiasmo per il riconoscimento ricevuto svanisce presto, mentre le nuove aspettative creano una pressione costante. E' quello che succede abitualmente. Intrappolati fra il riconoscimento dei successi passati e la possibilità di opportunità future, gli aspiranti leader spesso vedono il presente come una fase in cui bisogna dimostrare che gli uni e le altre sono meritati. Nello sforzo di rispondere alle aspettative riposte in loro, sviluppano un approccio più utilitaristico su dove e come impegnarsi.
Tutto questo succede soltanto nelle aziende che dispongono di un canale formale per instradare i dipendenti ad alto potenziale verso posizioni di vertice. In alcune organizzazioni, succede semplicemente che gli alti dirigenti mostrino interesse verso certi dipendenti, e da lì in poi le cose si ingigantiscono.

(...)

In un famoso studio, la psicologa di Stanford Carol Dweck ha tracciato una distinzione tra orientamento al rendimento e orientamento all'apprendimento. Quando i bambini sono convinti che la loro intelligenza sia una quantità fissa, ha scoperto, tendono a scoraggiarsi facilmente di fronte a compiti scolastici impegnativi e gettano la spugna quasi subito se vengono messi di fronte a problemi non facilmente risolvibili. 
I bambini che hanno la percezione che la loro intelligenza sia qualcosa di malleabile, per converso, si soffermano su quei problemi più a lungo, perché li vedono come un modo per continaure a migliorare. Quelli che hanno un orientamento al rendimento si sentono imbarazzati di fronte all'insuccesso, mentre quelli che hanno un orientamento all'apprendimento lo percepiscono come uno stimolo e si impegnano con più intensità. Lo stesso vale per gli adulti nel lavoro,  ha osservato la Dweck.

Le aspettative amplificate che i dipendenti ad alto potenziale interiorizzano sono la classica circostanza che fa emergere l'orientamento al rendimento, secondo la ricerca della Dweck. 
Questi leader potenziali non gettano la spugna di fronte alle sfide impegnative e nemmeno smettono di sviluppare le loro competenze, ma l'apprendimento diventa una sorta di rendimento, un modo per affermare il loro talento. Il risultato è che gli esperimenti extra e i progetti collaterali che potevano servire per espandere ulteriormente le loro competenze ma anche mettere in luce i loro limiti, cominciano a essere percepiti come rischi che non possono permettersi. E' così che le persone speciali diventano ordinarie.

Domani esamineremo insieme il secondo problema.

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