lunedì 30 maggio 2011

L'importanza dell'empatia nei rapporti di lavoro

Ho appena finito di leggere un libro di Piero Albiero e Giada Matricardi che tratta di empatia (il titolo è, appunto, "Empatia"). 
Ve ne riporto alcuni stralci e vi ricordo che di empatia abbiamo parlato anche qui.


Per lungo tempo l’empatia è stato un concetto vago e misterioso, per molti versi quasi ”magico”, oggetto di interesse e di riflessione soltanto per gli adepti allo studio della storia del pensiero. 

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Da cosa nasceva questo interesse per l’empatia? Probabilmente, dalla convinzione che essa costituisse una sorta di ”pietra filosofale” dei rapporti umani, una capacità in grado di mediare la qualità dei processi di interazione tra gli individui. 

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Il volto di una mamma che d’improvviso si rabbuia perché il suo bambino di pochi mesi piange in un modo diverso dal solito e capisce che sta male. Un amico ci conosce talmente bene che, dall’inflessione con cui rispondiamo al telefono, capisce se siamo contenti o se c’è qualcosa che non va. Un compagno di lavoro che, dopo un rimbrotto del capo, ci da una pacca sulla spalla e ci dice un sincero ”Mi dispiace”. 

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Tutti questi vissuti che danno sapore e rendono più intensa la nostra vita di tutti i giorni, colorandola di sfumature alle volte appena percepibili, altre volte così decise da rendere indimenticabili certi attimi, sono esperienze di empatia. 

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Provare empatia per qualcuno significa comprendere le emozioni che sta vivendo e viverle a propria volta, capendo le sue ragioni e le sue intenzioni; vuol dire creare nel proprio mondo interiore uno spazio su misura per accogliere il mondo dell’altro. 

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Nel linguaggio comune il significato di empatia è associato a esperienze di compartecipazione e di condivisione dell’emozione altrui (piacevole o sgradevole che sia), implica la capacità di comprendere gli altri vedendo la situazione come loro la vedono e vivendola come loro la vivono. 

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Per introdurre i punti chiave dell’approccio integrato, Davis parte dalla definizione dell’”episodio prototipico” empatico, costituito da tre vertici: 
- il soggetto che osserva; 
- il soggetto osservato mentre sperimenta una situazione emotiva; 
- la risposta dell’osservatore

Secondo Davis, l’”episodio prototipico” è specificato da quattro costrutti, riconosciuti da una lunga tradizione di ricerca come costitutivi dell’empatia:
a) le caratteristiche dell’osservatore, dell’osservato e della situazione;  
b) i processi cognitivi dell’osservatore che permettono la conoscenza dello stato d’animo dell’osservato; 
c) la risposta che ha luogo nell’osservatore di fronte alla situazione emotiva dell’osservato e che può essere affettiva (la partecipazione vicaria) oppure cognitiva (l’accuratezza nel comprendere i pensieri e i sentimenti altrui); 
d) i comportamenti interpersonali che derivano dall’esposizione agli stati d’animo dell’osservato. 

Ma quali sono le componenti cognitive e affettive dell’empatia che caratterizzano le risposte empatiche dell’osservatore? 
Secondo Davis sono quattro: le prime due concernono le abilità cognitive e sono, rispettivamente, l’abilità di adottare il punto di vista di un’altra persona {perspective taking) e la tendenza a immaginarsi in situazioni fittizie (fantasia). Le altre due componenti si riferiscono alla reazione emotiva del soggetto, che può essere orientata verso la condivisione dell’esperienza emotiva dell’altro {considerazione empatica) oppure diretta verso la comprensione dei propri stati di ansia e di preoccupazione in situazioni relazionali {disagiopersonale). 

Per oggi direi che può bastare ma domani continueremo il discorso. 

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