mercoledì 29 ottobre 2014

Scrivere un'e-mail


In questi giorni sto leggendo un libro davvero godibilissimo, "Come dire. Galateo della comunicazione" di Stefano Bartezzaghi, e ho deciso di riportarvi qui qualche spunto relativo alle e-mail.

Buona lettura!

Una rivoluzione in quattro parole: “Ti mando un’e-mail”. È la rivoluzione della chiocciola. 

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Fin da pochi anni dopo la sua nascita la posta elettronica ha cominciato a manifestare le sue proprie malattie e disfunzioni: i mali esantematici dello spam e dei virus, le maggiori velocità e intrusività conferite alla stupidità e alla malignità umane. Se uno ha un indirizzo e-mail pubblico, la percentuale di messaggi appropriati e opportuni che riceve scende ogni momento di qualche frazione di punto. Oggi come oggi l’esperienza personale fissa tale percentuale al quindici per cento, e il resto è spazzatura o inezia: quell’ammontare di materia inerte, ma potenzialmente pericolosa e attualmente fastidiosa che il gergo milanese chiama efficacemente “fuffa”. Contro la fuffa occorre dotarsi di santa pazienza e di un buon filtro antispam, che però ogni tanto si mangerà misteriosamente messaggi personali importantissimi. 

Ma al di là delle patologie io proclamo che per utilità e diffusione la posta elettronica è la maggiore invenzione umana del nostro tempo. Sarebbe stucchevole ancor più che futile elencare un’altra volta i suoi vantaggi: la possibilità di contatti internazionali comodi, frequenti e gratuiti, la maggiore circolazione di idee che ne deriva, il brusco ridimensionamento della necessità di usare il petulante telefono e il farraginoso fax e in generale la certezza di poter entrare in contatto pressoché con chiunque senza rompergli le delicate palle. La discrezione, appunto.

La rivoluzione vera e propria riguarda la scrittura. 

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Che si fosse imparato a organizzare un testo o no, con destinatario personale o impersonale, fuori dalla scuola la scrittura diventava un oggetto misterioso. 
Prima dell’e-mail le occasioni non scolastiche di praticarla non erano poi frequenti, salvo per chi scriveva per mestiere: ed era un gran peccato, perché chiunque ha un contatto via e-mail con un pubblico vasto oggi sa che esiste un mucchio di gente che ama scrivere e lo fa bene. Gente che prima aveva di rado il tempo e la voglia di prendere carta, penna, busta, francobolli, e che ora ha trovato il mezzo giusto per dedicare il giusto tempo ai piaceri sociali donati dall’alfabeto (e dall’alfabetizzazione), con l’agio di rivolgersi a uno o più destinatari scelti.

Occorrerebbe studiare bene la differenza fra il tipo di scritture che si trovano nei forum (altro nome che ricorda il vuoto) pubblici di Internet, o nei commenti dei blog, e quelle che invece viaggiano via e-mail. L’intervento pubblico scatena una folkloristica gamma espressiva che è l’analogo (per iscritto) delle forme di comunicazione da assemblea di condominio: sarcasmo, insolenza, iattanza, sconforto veicolati con spreco di maiuscole ed esclamativi, destrutturazione sintattica, tendenza epidemica all’interiezione. L’e-mail invece invita (mediamente) al carattere minuscolo, a una strutturazione più articolata della comunicazione, a un’interlocuzione nel complesso migliore.

L’e-mail ha cambiato molte cose: soprattutto ha dato una possibilità inedita di rapporto fra i mass media e i loro utenti, trasformando radicalmente l’interazione del pubblico con giornali, radio e televisione. Ha inoltre messo in contatto persone abituate a lavorare singolarmente e a scornarsi con problemi che messi in rete vengono risolti facilmente. La richiesta di un aiuto a un amico può innescare una reazione a catena che a volte si conclude in capo a poche ore con una risposta dal maggior esperto mondiale del problema (è una felice esperienza personale).

A fronte di queste festose opportunità c’è naturalmente il cumulo spaventoso di e-mail a cui rispondere: non ce la si fa e i mittenti giustamente si offendono. L’e-mail, così umile e discreta, sotto sotto pensa di noi che parallelamente alle nostre ventiquattro ore nel mondo reale – in cui dormiamo, leggiamo, lavoriamo, andiamo a trovare i nostri parenti, facciamo da mangiare, accompagniamo i figli a scuola – ci sono altre ventiquattro ore che viviamo come titolari di uno o più account di posta elettronica. La chiocciola, malgrado le apparenze inoffensive, ha su di noi delle ambizioni tiranniche. 


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Prima che ci si mettessero le e-mail (e, a maggior ragione, gli SMS) al mondo c’era una certezza: verba volant, scripta manent. Questi due principi, di classica inoppugnabilità, sancivano i diversi destini del discorso scritto e del discorso orale, una differenza che non era affatto smentita dai ghirigori retorici di modi di dire come: “Parlare come un libro stampato”, “Carta canta” o “Parole come pietre”. 

Il nero su bianco rimaneva, il flatus vocis si perdeva. 

Ma poi sono arrivate le e-mail, e qui il nero su bianco c’era e non c’era: c’era perché era sul video, non c’era perché non si toccava più. L’epistolomania, che fino a pochi anni prima era un’eccentricità riservata a pochi, diventava epidemica, anche se perdeva il valore di feticcio della lettera toccata dalla mano del mittente e da quella – distante nello spazio e a volte anche nel tempo – del destinatario. 
Quante e-mail abbiamo inviato e abbiamo ricevuto? Il numero è francamente incalcolabile.Tentare una collezione di questi scritti volanti è un’impresa che richiede la carica utopistica e visionaria che è ormai possibile solo a una grande istituzione. 

È vero che molti non cancellano le e-mail in partenza e in arrivo, per rileggersele in futuro e perché “non si sa mai”. Ed è altrettanto vero che lo scambio di e-mail non sempre si nutre di un’informalità che è paragonabile più a quella del discorso parlato che di quello scritto: c’è anche chi configura l’e-mail come una lettera vera e propria, dal luogo e la data ai convenevoli di apertura e di chiusura.
Il paradosso delle parole che volano è quello della vicinanza fra lontanissimi e della lontananza fra vicinissimi. Incertezze e inaccuratezze linguistiche, gergalità e facilità di entrare in medias res sono spesso conversazionali, senza però che toni linguistici ed espressioni facciali aiutino a trovare l’interpretazione più corretta. All’improvviso sorgono così sgarbi magari non voluti, slanci magari non ben calibrati: la brevità può essere presa per distacco brusco, la mancata risposta per indifferenza anche quando dipende magari da un problema tecnico. Per e-mail non si sa mai quanto si stia davvero andando d’accordo, o quanto convintamente si stia litigando.

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