Vi suggeriamo la lettura di questo interessante articolo tratto da "Il Corriere di Gela on line".
Giocherei d’azzardo se entrassi nel merito di una definizione del ruolo dei cosiddetti “quadri” nell’industria nella fase storica che stiamo attraversando! Ha fatto benissimo a occuparsene un addetto ai lavori, l’ing. Sebastiano Abbenante in un articolo pubblicato da questo settimanale prima della Pasqua. Con cognizione di causa e non solo per esperienza professionale vissuta con eccellenza. Se ha ritenuto di rendere di pubblico dominio il problema, l’avrà fatto perché ritiene che si tratti di argomento non riservato agli specialisti o soltanto agli addetti ai lavori.
Ne sono convinto. Penso, infatti, che chiunque voglia vivere il presente con consapevolezza non può esimersi da una più o meno attendibile analisi dell’organizzazione della produzione dei beni materiali e immateriali. Non trascurando, evidentemente, quello che è avvenuto con la nascita della società moderna e dopo la rivoluzione industriale. Evento che ha comportato il nuovo rapporto tra scienza, tecnologia, capitale, forza lavoro e divisione dello stesso sino alla parcellizzazione dei ruoli.
Spesso con forme di interdipendenza molto rigide. In taluni momenti della storia i rapporti sono diventati anche molto conflittuali per la dialettica contrapposizione di capitale e lavoro. E’ risaputo che gran parte della storia dell’ ‘800 e del ‘900 è da leggere in questa chiave. Anche per quel che riguarda la storia delle idee e della cultura. Penso a Hegel a Marx, a Lenin, a Gramsci, a Weber, a Marcuse... Il lavoro industriale venne tra fine ‘800 e primi del ‘900 organizzato sui modelli di Ford e di Taylor, rispettivamente proprietario dell’omonima casa automobilistica americana il primo, e manager della General Motor l’altro. Catena di montaggio, misurazione dei tempi e dei movimenti (Mtm), riduzione del prestatore d’opera ad anonimo complemento della macchina erano la traduzione razionale in comportamenti della elementare filosofia secondo la quale nella fabbrica produttiva occorreva combattere la naturale pigrizia dell’uomo. Messe sotto controllo le maestranze, le grandi aziende riservarono un occhio di riguardo ai “Quadri” sia sotto il profilo economico sia nelle gratifiche morali. I cosiddetti colletti bianchi crebbero col sentimento di essere associati al gruppo dirigente. Si percepirono separati dagli operai che, a loro volta, non tentarono per quasi un intero secolo di associarli alle loro rivendicazioni. Avevano competenze specifiche e condividevano la mission della fabbrica.
Dice bene l’ing. Abbenante allorché parla del clero al quale i quadri si sentono molto più vicini di quanto non si sentano lontani dagli operai che, nella struttura organizzativa, non hanno avuto un profilo individuale. Veri ideatori di cattedrali gotiche, furono i veri artefici dell’arte moderna e non solo dell’economia industriale. Solo chi restringe il campo dell’arte alla tradizione umanistica non se ne è accorto. Ché analizzando gli artefatti della cultura umanistica e rinascimentale ci si accorgerebbe come l’architettura, l’urbanistica, la musica e le altri arti hanno richiesto competenze algebriche e geometriche non inferiori a quelle richieste ai grandi mercanti e ai banchieri. Non solo per la valenza sacra e simbolica di numeri e figure geometriche, ma anche per calcoli di volumi per ragioni di statica o di traiettorie (balistica) per la nuova arte della guerra. Le maestranze operaie nella fabbrica moderna verranno valutate solo per l’erogazione quantitativa della forza lavoro. Almeno sino a quando la fabbrica fordista e taylorista non verrà a conoscere i fenomeni di crisi di produttività che verranno superati col cosiddetto Spirito Toyota. Che muovendo da una filosofia diversa rispetto a quella di Taylor, chiama tutti i lavoratori alla corresponsabilità del just in time. Il divario tra operaio e quadri si accorcia. L’operaio sa che deve saper fare tutto in modo che sia presente laddove occorre, just in time così come arrivano gli ordini d’acquisto e, sempre in tempo, le varie componenti. Niente grasso e, soprattutto, corresponsabilità perché tutti nella fabbrica si sentono autori di tutto. Con incremento esponenziale della produttività per addetto.
In estrema sintesi è questo quello che è avvenuto nella storia delle fabbriche del mondo. I quadri hanno avuto grandi meriti. Gli sono stati riconosciuti dalle aziende. Non molto dagli storici della cultura, che hanno valutato quasi esclusivamente, quando li hanno valutato, i grandi manager e i grandi capitani come, ad esempio, Gianni Agnelli per l’industria privata e Enrico Mattei per l’Eni. Che hanno avuto grandi idee e progetti ambiziosi. Consapevoli che le leve di comando vengono concretamente manovrate da chi sa di «avere in mano – come scriveva A. Gramsci in “Passato e presente” – le posizioni strategiche che dominano l’insieme della situazione e permettono di guidare lo sviluppo degli avvenimenti». I quadri, cioè. Per dirla con Abbenante, gli Stackolders, “portatori di interessi verso l’azienda e integratori di risultati” tra industria e territorio. Ovviamente, se il giorno 11 marzo scorso i Quadri di Ra.Ge. scioperano, a distanza di circa 20 anni dalla marcia dei 40mila, una qualche ragione di disagio deve pur esserci. E, infatti, c’è. I Quadri avvertono di non essere più riconosciuti dall’azienda per quello che sono. Gli architetti artefici delle stupende Cattedrali Gotiche. Come mai? Escludo che il problema sia esclusivamente dei quadri della Raffineria gelese. Con una lente potente forse sarebbe possibile osservare quanto sta avvenendo nella grande industria a livello globale. Dico dell’industria perché la tradizione dell’artigianato non ha posto il problema dei quadri. Quello che Abbenante chiama clero si avvaleva delle idee che venivano proposte da studiosi che non sempre avevano un rapporto organico con la bottega. Anzi, talvolta era proprio il capomastro l’artefice dell’innovazione o dell’ottimizzazione dei metodi di produzione. L’ordine domenicano aveva al suo interno ‘quadri’ che innovarono sistemi di produzione in agricoltura e di edificazione delle cattedrali e delle abbazie. Leonardo Fibonacci fu mandato dal padre, mercante pisano, a studiare matematica presso gli arabi la matematica per migliorare la tenuta dei libri contabili e, quindi, le attività dell’impresa commerciale. Luca Pacioli, inventore della partita doppia, dopo aver collaborato con Piero della Francesca e con Leonardo da Vinci, entra in convento non proprio per vocazione religiosa ma per meglio dedicarsi agli studi matematici.
Oggi l’impresa industriale sta cambiando radicalmente assetti. La grande fabbrica diventa sempre più snella e flessibile. Con una battuta potrei esprimere il mio ingenuo stupore: chi avrebbe immaginato appena 30 anni fa che l’Anic, come la chiamavamo, avrebbe venduto acqua e corrente elettrica? Ci sta di mezzo la nuova divisione internazionale del lavoro, ma anche, più recentemente, il fenomeno che chiamiamo globalizzazione, sostenuto dalla rivoluzione elettronica e informatica e accompagnato dalla finanziarizzazione dell’economia. Un’osservazione vorrei fare e, quindi, porre un problema. Da alcuni osservatori viene impiegato da qualche anno uno strano termine. Croudsourcing che è formato da croud, con cui viene indicata la ‘folla’, e outsourcing che sta a significare la tendenza delle imprese (ora anche delle famiglie) a comprare servizi e componenti all’esterno piuttosto che autoprodurli come prima invece si faceva in gran parte. Una delle conseguenze più immediate sta nell’esternalizzazione della produzione dei servizi e di molti beni. Cosa ancora più sconvolgente è che le aziende produttrici e fornitrici di servizi e di beni si avvalgono di strumenti molto sofisticati e di pochi addetti con contratti molto precari. Negli Usa allo stato attuale esistono ben 20milioni di microaziende senza alcun dipendente! Tutto questo in concomitanza con l’utilizzazione del lavoro gratuito che da tempo è stato sperimentato negli ipermercati, dove gran parte del lavoro viene eseguito gratuitamente dallo stesso cliente, dal prelievo della merce dagli scaffali sino, ora, al pagamento alla cassa. E i quadri?
La mia potrà apparire come una fuga in avanti. Probabilmente lo è! Troppa fretta nell’anticipare il cambiamento è perdonabile, spero, a chi è avanti negli anni. Perdonabile anche a chi è abituato ad acchiappare la realtà con le letture. Però, ho proprio l’impressione che il contesto in cui deve essere inserito il problema dei Quadri sia questo e che con esso debba fare i conti. Ancora Gramsci, nel libro citato, dice del capitano che con un potentissimo cannone staziona con le truppe nella vallata. Avendo lasciato indifese le colline, rischia di mandare allo sbaraglio i suoi uomini. Deve cercare una buona e diversa collocazione al cannone e agli uomini. Anche i Quadri devono pensarci per tempo guardando alla situazione locale e alle dinamiche globali.
Autore : Luciano Vullo
mercoledì 23 aprile 2008
I “Quadri” nell’era elettronica per nuove cattedrali
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